Ai persecutori dei morti
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Ai persecutori dei morti volgono i tempi propizi ora che si annunciano prossimi i centenari di Masaccio e di Petrarca. Ormai il verso famoso del Foscolo è divenuto vana speranza di un ottimismo invecchiato che neppur la morte basta a dar fama e ancor meno riposo. Tutti gli impotenti con istinti da rigattieri sentono il bisogno di aggrapparsi ai grandi passati per metter fuori le due più tediose cose di questo tedioso mondo: la retorica e l'erudizione. I centenari sono le orge pubbliche di codesti celebratori della sesta giornata, che scrivono delle monografie o delle epigrafi per coloro che avrebbero lapidati se invece di aver la buona idea di nascere nel secolo XIV o XV si fossero permessi di vivere ai primi del XX. Intanto credono di festeggiare Masaccio con delle presentazioni di fotografie inframezzate di luoghi comuni scipiti e di bazzecole d'archivio — e c'è chi ha il coraggio di augurare al Petrarca la costituzione di una società petrarchesca che ne ripubblichi le opere e ne ristudi la vita, sognando forse, nella sua ebbrezza professorale, di vedere anche i fascicoli di una Rivista Petrarchesca, ove si esporrebbe l'ottantesima interpretazione della canzone Spinto gentil, e si pubblicherebbero dei documenti importanti sul giorno in cui il dolce poeta piantò il primo fico a Valchiusa.
Poichè tutta questa gente che si nutre per necessità di cadaveri crede che l'ammirazione e l'amore per le grandi voci dell'umanità cresca in ragione diretta delle edizioni critiche e delle conferenze a base di pistolotti. Questi piccoli uomini che voglion mettere la marca da bollo alla fama e dar la stura alle loro schede sudate e al loro entusiasmo posticcio, dimenticano che l'amore è una fiamma tanto più potente quanto più secreta. Il gettarlo nelle forme accademiche e ufficiali significa impoverirlo e smorzarlo.
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◄ Giovanni Papini